venerdì 23 aprile 2010

Gli Invisibili

Il lavoro nel Front Office assomiglia a quello domestico per un unico aspetto: diventa visibile solo quando non viene fatto. Altrimenti puoi anche schiattare,

sotto una mole di lavoro disumana, in un ambiente sciatto e approssimativo, tanto nessuno se ne accorge. I nostri quotidiani sforzi non sono né valutati né apprezzati: semplicemente vengono minimizzati e dati per scontati. Se rischiamo di avere poca fiducia in noi stessi, ciò dipende anche dal fatto che i nostri compiti sono considerati dequalificati e di routine.

Qui si coglie quella che consideriamo la vera essenza della crisi complessiva della CT: l’indifferenza e la sordità dell’amministrazione a questi problemi. Occorre dirlo, senza che si sospetti il delitto di lesa maestà. Un silenzio, quello dell’amministrazione, che comunica una inquietante sensazione di eccesso. Introvabile il dottore. Scarse e quasi nulle le medicine e terapie indicate per questo tipo di malattia, la cosiddetta “overwork sindrome”.

Il ricorso all’assenza dal lavoro da parte dei lavoratori fa in questo caso parte di una vera e propria strategia personale e nella estrema diversificazione di comportamenti dei lavoratori sembra esistere un punto comune: i lavoratori considerano l’assenza dal lavoro, non legata solo alla malattia ma anche alle ferie, ai permessi ecc, come una possibilità alla quale ricorrere per far fronte a problemi che di volta in volta si presentano nell’organizzazione del lavoro.

Nel caso dei lavoratori del front-office della CT di Roma il ricorso all’assenza è dovuto senz’altro all’esigenza di interrompere un ritmo di lavoro divenuto eccessivo ed insostenibile, di concedersi delle pause psicologiche, con una funzione di recupero fisico reso necessario dal peso del lavoro e dei suoi orari. L’assenza è quindi vissuta come fenomeno patologico spiegato e giustificato con la patologia del lavoro corrispondente.

Questa è solo una parte della realtà. Ovviamente, essa resta, come restano i ritmi da lavoro specificatamente nocivi, sia dal punto fisico che da quello psicologico. C’è però dell’altro, che va tenuto in debito conto. Sicuramente il carico di lavoro eccessivo comporta un rischio maggiore di infortunio. E’ la parte essenziale di parte lavoratrice sulla questione della salute che ha nella contestazione dell’intensità del lavoro, come principale fattore di rischio, uno dei suoi capisaldi. Si apre qui un problema che a nostro avviso ha grosse implicazioni generali. La salute in questi ultimi anni è il tema sul quale l’elaborazione teorica è stata la più avanzata e importante. In questa elaborazione la salute è considerata come il valore essenziale al quale tutto deve essere subordinato. Occorre prendere in considerazione perciò anche un aspetto ulteriore che è quello del ricorso fai-da-te all’assenza come misura di sicurezza personale tesa alla riduzione del rischio derivante da un carico di lavoro eccessivo, quando chi ne ha il dovere non si occupa di farlo.

Le cose stanno così nel cortile di casa CT. Per anni si è preferito spingere la polvere sotto il tappeto anzichè risolvere l’annosa questione delle risorse dei servizi al pubblico che nel tempo sono diventati veri e propri gulag, intesi non come massa di personale, per la verità sempre scarso, ma come ricettacoli di personale altrimenti incollocabile. Certamente non possiamo dire che i lavoratori hanno guardato con simpatia a questa indifferenza e scarsa considerazione. Ma che sia stato tutto un gioco di continui rimandi, di silenzi, di colpi di scena da società segreta, questo si! L’amministrazione avrà in proposito i suoi progetti, ma che siano chiari, espliciti, pubblicamente motivati e non assolutamente sconnessi con le esigenze del personale e obliquamente declinati su una tempistica biblica che sposta in avanti tutto rinviandoci ad una sgradevole sensazione di inadeguatezza. Ormai ci siamo resi conto che il rinvio nel futuro e un gioco di prestigio che non può riuscire. Il tempo è un nemico in catene. E’ l’alleato di tutte le scuse, di tutti i silenzi. Lo crediamo nostro socio, aspettiamo che cali l’asso, ma il baro non è lui!

L’insicurezza è a tutt’oggi la condizione abituale del vivere dei lavoratori del Front-Office. Ha raggiunto la sua massima santificazione.Viviamo il giorno del dopo. Ancora incertissimo e paralizzante è un dopo che non si lascia definire e questa indefinibilità dell’orizzonte ci inquieta non poco e provoca un disagio che ha a che fare con lo stress dell’attesa. Un dopo che è stato respinto nell’altrove, in un tempo non previsto dalla grammatica della lingua, il tempo di un futuro già passato. Dove si ammucchiano le intenzioni mancate, i progetti incompiuti. Nel ripostiglio dove finisce, forse, ciò che è davvero importante e che conta per noi. Inutile ascoltare vuote chiacchiere. Scontri, accuse, calunnie, eccessi verbali: la vita nella commissione è deteriorata, si è imbastardita. Un vecchio detto recita che quando la diligenza è ferma i passeggeri bisticciano.

Se l’urgenza del qui-e-adesso non ce la farà ad uscire dalle secche del ripudio non potranno escludersi strappi. La sordità alle richieste di adeguamento dell’organico dei servizi front-office potrebbe rendere la nostra quotidianità molto più conflittuale di quanto non sia già.

Abusa del presente, lascia il futuro ai sognatori e il passato ai morti! (Felix LeClerc)

I LAVORATORI DEL FRONT-OFFICE DELLA CTP DI ROMA

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